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Siamo all’ultima tappa del nostro trek, e la resa dei conti ha cifre da capogiro: 13 giorni di cammino da mattino a sera, 210 km percorsi e un dislivello totale di 20’000 m di salita e discesa nelle gambe. Piuttosto stanchi ma felici di aver tenuto duro, soprattutto mentalmente, in condizioni a tratti anche difficili e di isolamento quasi totale.

Nei 12 giorni prima, nella valle del Makalu, il telefono non funzionava e abbiamo incontrato soltanto 5 turisti: 2 francesi, 2 newyorchesi ed 1 israeliano. Il villaggio di Paiya, nel Solukhumbu, subodora invece già di turismo, globalizzazione e forti contrasti. In un solo giorno abbiamo incontrato oltre a una ventina di turisti, dei portatori nepalesi con i capelli biondi ossigenati e vestiti all’occidentale, troppe di muli carichi di bombole di gas destinati ai commerci ed ai lodges di Lukla che avanzavano su sentieri larghi e a tratti lastricati come strade.

Il turismo è aumentato a dismisura qui all’ingresso della valle dell’Everest, e le strutture di accoglienza sono moltiplicate. Si mormora che nel mese di ottobre 2018, complice la meteo molto stabile, atterrassero a Lukla fino a 3’200 turisti al giorno. Una massa di gente difficilmente sostenibile per questa zona.

Lukla è un villaggio situato a 2’850 metri, punto di partenza per le escursioni e le ascensioni alle alte vette hymalayane, a 30 km in linea d’aria dall’Everest. Noto anche per la breve pista dell’aeroporto situata a strapiombo su un alto dirupo, e la sua testata a ridosso di una parete rocciosa, con il rumore assordante degli aerei che arrivano e ripartono carichi di turisti, ci ritroviamo di colpo di nuovo in mezzo alla civiltà. Avevo già visitato Lukla nel mio 2. viaggio in Nepal nel 2001, da allora l’ho trovata molto trasformata, sicuramente più ordinata, molto urbanizzata e brulicante di turisti, ma decisamente meno emozionante di 17 anni fa, quando il calzolaio e il barbiere lavoravano per strada.

Rumore a parte ci si riabitua però facilmente a un po’ di comfort. Vale sicuramente una visita il Lukla Hospital (www.hospital-lukla.ch), dotato anche di una mini centrale elettrica. Inaugurato nel 2005, l’ospedale è stato fondato dalla friburghese Nicole Niquille, prima donna svizzera a diplomarsi guida alpina nel 1986, poi costretta su una sedia a rotelle a causa di un gravissimo incidente 8 anni più tardi e a reinventare con grande coraggio la propria vita.

Profondamente ispirata dalla determinazione di Pasang Lhamu Sherpa, colei che fu la prima donna nepalese a raggiungere la vetta dell’Everest nel 1993 al suo quarto tentativo, ma purtroppo sorpresa da una tempesta mortale nella discesa.

Entrambe impegnate ad aiutare le popolazioni disagiate di montagna ai piedi dell’Hymalaya, ed in special modo le donne e i bambini di etnia sherpa. In Nepal su 100’000 nascite, più di 750 donne muoiono dopo il parto e 5’900 bimbi nel corso del loro 1. anno di vita. L’isolamento e la mancanza di vie di comunicazione di queste zone determinano anche la precarietà delle strutture mediche.

Nel 2006 in questo ospedale partono i primi piani di vaccinazione infantile (tubercolosi e poliomielite), laboratori di analisi e farmacia, seguiti negli anni anche da consultazioni e operazioni in ortopedia, oftalmologia, medicina dentaria, ginecologia e ostetricia. Team di medici arrivano regolarmente da Kathmandu per operare ed istruire il personale locale.

Vengono trattate in media 900 persone al mese. I bambini sotto i 5 anni di vita ricevono cure mediche gratuite, mentre per gli adulti il costo delle cure ha il prezzo simbolico di 100 Rs = 1 USD). Dopo un investimento iniziale di 2 milioni di USD, il costo di gestione annuale è di 250’000 USD.

Grazie alla collaborazione della Fondazione Nicole Niquille-Lukla Hospital con la Pasang Lhamu Mountaineering Foundation (www.pasanglhamu.org), Enfants sourires in memoria dell’alpinista Erhard Loretan, e altre fondazioni private, l’ospedale è tutt’ora in espansione con importanti investimenti in nuovi progetti.